UN PROGETTO DI ALFREDO ACCATINO

Viaggio non scontato tra artisti e visionari da tutto il mondo, molto lontano dai soliti 50 nomi. Non esisterebbero le avanguardie senza maestri sconosciuti alla massa (ma certo non a musei e collezionisti). E non si sarebbe formata una cultura del contemporaneo senza l’apporto di pittori, scultori, fotografi, designer, scenografi, illustratori, progettisti, che in queste pagine vogliamo riproporre. Immagini e storie del '900 – spesso straordinarie - che rischiavamo di perdere o dimenticare.


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venerdì 18 marzo 2011

IL QUADRATO NERO DI MALEVICH (Malevič)



"Questo disegno avrà un’importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l'embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente. 
E' il progenitore del cubo e della sfera, e la sua dissociazione apporterà un contributo culturale fondamentale alla pittura…."
Lettera di Malevich a Matyushin 


Malevich aveva ragione. Malevich ha sempre ragione.
Questa composizione è - a tutti gli effetti - una delle 10 opere d’arte fondamentali del ‘900.
Si chiama "Quadrato nero", è stata realizzata tra il 1914 e il 1915 e rappresenta la prima opera suprematista di Kazimir (o Kasimir) Severinovič Malevič (Казимир Северинович Малевич) - (Kiev 1878 – San Pietroburgo 1935) ed è conservata al Museo Russo di San Pietroburgo, anche se ne esistono alcune varianti.
La cosa incredibile è che, nonostante il suo autore sia oggi considerato uno dei grandi padri dell’arte moderna insieme a Picasso, Duchamp, Mondrian, Boccioni e Kandinsky, Malevič è stato, per più di metà del diciannovesimo secolo, un artista quasi sconosciuto nel mondo occidentale, ancora oggi ignoto ai più.
Russo, ma in realtà ucraino, nato da una famiglia nobile di antichissima genealogia, ma capace di passare lunghi periodo da eremita, come un'altro artista tutto da riscoprire come Pavel Filonov, ha vissuto una esistenza ancora oggi avvolta nel mistero, tanto che venne conosciuto dagli specialisti soprattutto grazie alle 70 opere presentate in una mostra del 1927 a Varsavia.
Memoria nascosta/rimossa per tutto il periodo staliniano - ancora adesso non si sa bene come scrivere il suo cognome (esistono 5 varianti) - aspetta ancora di vedere tradotti e interpretati tutti i suoi scritti. E non tutte le sue opere sono state ancora catalogate, per la gioia dei falsari che hanno invaso il mercato. Comprensibile visto che una sua tela ha raggiunto i 60 milioni di dollari.

Ma perché questo quadro, Il Quadrato Nero, è così importante?
Perché non solo segna la data di nascita di una delle grandi avanguardie del ‘900, sicuramente la più esoterica, ma azzera tutto ciò che era stato prodotto sino ad allora e contiene già in se il secolo che deve ancora venire. Un secolo di innovazione, di ricerca, di provocazione, di disgregazione delle immagini.
Basta una conoscenza superficiale della storia dell’arte per leggerci le intuizioni e le ricerche di Alberto Burri, Mark Rothko (non a caso pittore russo emigrato in America), Franz Kine, Sol Lewitt, Manzoni, Albers, Klein, l’arte povera di Mertz e Kounellis, che sembrano addirittura epigoni. 
Un salto in avanti sorprendente, soprattutto se ti tiene conto che la sua ricerca affonda le proprie radici nella tradizione russa e nel primitivismo dei suoi primi lavori. I dipinti suprematisti di Malevich rappresentano costellazioni di forme in uno spazio bianco. Forme definite da un’algebra elementare che ha un codice primario: il quadrato nero. Il quadrato nero è l'icona del suprematismo. È il simbolo iniziale di un sistema che genera tutte le forme suprematiste e costellazioni mediante un repertorio di distorsioni, spostamenti, moltiplicazioni, allineamenti e sovrapposizioni.


Malevich indicava il 1913 come anno della nascita dell’intuizione del quadrato suprematista, infatti il dipinto che si intitola anche 'la vittoria sul sole' ha il valore dell'inizio. Un sipario che si apre (o che si chiude) sul nuovo e la sua intuizione nasce proprio mentre disegna scene e costumi per l'opera La vittoria sul Sole di Matiushin e Kručënych.
Malevich affermava che la natura non ha significato. Che l’arte deve essere espressione pura. Anzi, che il quadrato nero dovesse essere come un'icona completamente nuda e senza cornice. E fu così che la espose per la prima volta in un angolo della sala della mostra futurista alla "0,10" nella galleria privata Dobycina di San Pietroburgo. In alto, come una icona, perchè irradiasse di luce teologica la stanza.
Il quadrato nero su sfondo bianco, fu un avvenimento per lui creativo, così importante che per una settimana non riuscì a bere, a mangiare, dormire.
Su questa esperienza scrisse: "Il quadrato nero sullo sfondo bianco è stato la prima forma di espressione della sensibilità non oggettiva: quadrato = sensibilità, fondo bianco = il Nulla, ciò che è fuori dalla sensibilità. Eppure la grande maggioranza della gente ha considerato l'assenza di oggetti come la fine dell'arte e non ha riconosciuto il fatto immediato della sensibilità divenuta forma."

Malevic aveva dipinto il suo quadrato nero con piccoli tocchi impressionistici e non con un tiralinee perché voleva che il lavoro della mano dell'uomo si percepisse fin nei tentennamenti e nella deformazione dei bordi del quadrangolo. Non doveva essere una forma lontana, ma generata dall’uomo e dal suo pensiero (...e diciamo che su questo punto l'arte povera ha trovato quantomento un punto di ispirazione). Anche l'effetto cracklé che oggi caratterizza il quadro gli sarebbe piaciuto perché racconta il passaggio del tempo, perché la forma è immutabile, ma è stata segnata dalla storia.

A questo quadrato seguiranno altri quadrati, rossi. Ma anche rettangoli, e croci.
Forme "assolute", libere da ogni descrittivismo naturalistico, che arriveranno all'azzeramento radicalmente puro dei monocromi di un'altra opera fondamentale (Quadrato bianco su fondo bianco, 1919, Museum of Modern Art, New York). Quello che Piero Manzoni avrebbe fatto solo negli anni ‘60 con i suoi achrome.
Malevich dice: il quadrato bianco porta il mondo bianco (la struttura del mondo), affermando la purezza della vita creativa dell’uomo”.
Come i poemi di Ossian, anche questo quadro possiede un'aurea misterica, che lo rende ancora più commovente.

Il "Quadrato nero" sarà esposto il giorno della sua morte nella camera mortuaria nel luogo che lui stesso aveva voluto, nella sua camera, per vederlo ogni giorno. E poi, accanto alla bara che si era disegnato (cercatela in fondo alla pagina).
Come Garibaldi, che in punto di morte, fece portare il suo letto di fronte alla finestra sul mare, nella prospettiva che mostrava la Corsica. E quando la vidi, con il vento che smuoveva la tenda, scoppiai a piangere in una inaspettata Sindrome di Stendhal.
Ognuno, in fondo, cerca l'infinito o la memoria, dove meglio crede.
 
Malevich’s self-designed tomb






Forse non ha nulla a che affare con tutto questo, ma selezionando queste immagini mi è venuta in mente questa poesia di Borges:

Le cose
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d'una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un'aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio.
Non sapranno mai che ce ne siamo andati.


“Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell'arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale. L'oggetto in sé non significa nulla. L'arte perviene col suprematismo all'espressione pura senza rappresentazione" 

Kazimir (o Kasimir) Severinovič Malevič i
 Казимир Северинович Малевич, in lingua ucraina Казимир Северинович Малевич, Kazymyr Severynovyč Malevyč 
(Kiev, 23 febbraio 1878 – Leningrado, 15 maggio 1935)  

Kazimir Malevich teaching students of UNOVIS, Vitebsk, 1925


Il quadrato non è una forma del subconscio. E' la creazione di ragione intuitiva. Il volto della nuova arte. Il quadrato è un neonato vivo e reale. 
E' il primo passo di creazione pura nell'arte.
Malevich
 

Museo Russo, San Pietroburgo
Kazimir Severinovich Malevich. Table 1. Formula of Suprematism 1913


 
Vytautas Kairiukstis, Suprematist Composition, 1922
L'essenziale di un maestro lituano, del tutto sconosciuto.

 

LAJOS KASSAK IL FUTURISTA COMUNISTA.


Hugo Scheiber, Lajos Kassak, Bela Kadar. 
Questo il nome dei tre maestri ungheresi che per primi hanno portato l’esperienza futurista in Ungheria e nei paesi dell’est Europa, divenendo di fatto una cerniera di esperienze e di visioni tra Italia e Russia a partire dalla metà degli anni '10.

Lajos Kassák (Ersekujvar 1887 – Budapest 1967) è stato un poeta, uno scrittore, un editore, ma soprattutto un artista. 
Nato da una semplice famiglia di operai, dopo disordinati studi da autodidatta parte per venire a lavorare in Italia. Ed è qui, quasi casualmente, che conosce Filippo Tommaso Marinetti, comprende a pieno la propria vocazione artistica e aderisce alle linee guida del movimento.
Questo rapporto tra uomini, macchine, velocità, questa sinestesia te compenetrazione tra tecniche e linguaggi lo affascina. Cerca quindi di declinare questa visione con le sue convinzioni socialiste, scontrandosi ben presto con i collettivi politici sia durante il periodo di Bela Kun sia nei primi anni del regime comunista.
Nel 1915 edita le riviste A Tett (interdetta nel 1916 per la sua impostazione internazionalista e antimilitarista), e MA (Oggi, 1916), che diventerà l'organo principale del movimento attivista. 
Ma Kassak si spinge oltre, e apre un dibattito che da culturale diventa politico e sociale, considerato pericoloso per la sua carica anticonvenzionale.
Dal 1920 AL 1926 è così costretto a vivere in esilio a Vienna e una volta rientrato proseguì la sua attività attraverso le riviste Dokumentum (1926-27) e Munka ("Lavoro", 1928-38) sostenendo le lotte del movimento operaio e l'avanguardia artistica. 
Dopo la guerra, sotto il governo filosovietico, la sua attività viene fortemente limitata. Una situazione che penalizza molti degli artisti della sua epoca, da Moholy Nagy ad Albert Nagy, rendendolo di fatto un recluso in un mondo che non riconosce più, prigioniero della stessa ideologia.
Cos’altro dire? Ah, sì. Che era un grandissimo visionario. Uno di quelli che, purtroppo, non si citano mai. Perchè, per farsi notare, occorre fare grandi botti.



UMBERTO MARIA CASOTTI. DAL SECONDO FUTURISMO ALLA NUOVA FIGURAZIONE.


Dal secondo futurismo Umberto Maria Casotti apprese soprattutto l'arte della scomposizione dei colori. Per farli diventare un pentagramma con il quale poter raccontare mondi interiori e paesaggi dell'anima. Un pittore che, nonostante il debutto avanguardista, non sognava la rivoluzione, ma che affrontava ogni quadro con l'ingenuità di un neofita e con la sapienza di una grande preparazione tecnica e storico-artistica. Come si evince in questo nudo della fine degli anni '40, che sembra voler coniugare neoplasticismo e cultura italiana. Che ricorda una bagnante di Ingres, ma che già anticipa il trattamento pittorico di un suo coetaneo come Renato Guttuso che, come lui, spesso annullerà i segni del viso per comunicare una compartecipazione dello stesso osservatore.

Nato a Taranto nel 1919 si trasferisce a Roma subito dopo la seconda guerra mondiale. 
Dopo la giovanile adesione futurista (parteciperà anche alla II Rassegna Nazionale), poco più che trentenne viene scoperto dal gallerista e talent scout Bruno Sargentini che lo porterà ad esporre alla Galleria "L'Attico" di Piazza di Spagna: passepartout per entrare nel mercato e nelle attenzioni dei critici. 
Partecipa così a due Quadriennali e a una Biennale di Venezia e un suo quadro viene scelto per l'esposizione della mostra Italia e cultura nel mondo.


Negli anni '70, nel pieno delle maturità, non riesce però a rinnovare il proprio linguaggio e soffre sempre di più della contestazione, che lo coglie a sorpresa anche al liceo artistico di Via Ripetta di Roma, dove è docente insieme a Mino delle Site. La riscoperta del Futurismo deve aspettare ancora molti anni (questa volta è lui ad essere considerato un passatista), e la sua pittura viene definita superata e borghese. La sua attività si riduce e Casotti, si richiude in se stesso.
Morirà a Roma, a Via Chiana nel Quartiere Trieste, nel 2000.

lunedì 7 marzo 2011

MARIO CHIATTONE, PIU' CHE FUTURISTA ANTESIGNANO DEL FUTURO


Mario Chiattone (1891 - 1957) non è mai stato futurista.
E' vero, frequentava Brera in quegli anni, sia seguendo i corsi de l'Accademia che della Scuola Applicata del Libro. Ha vissuto con Sant'Elia, con il quale divideva squadre e lucidi, nel modesto studio milanese e che frequentò con lui la Wagnerschule.
Ha partecipato alle prime mostre Nuove Tendenze, scritto nel 1919 il saggio Architettura Futurista. Usciva con Carrà, Boccioni, Marchi, Romani, Bonzagni e Dudreville. Ma non era futurista nel senso ideologico del termine.
E la cosa più incredibile, che pur essendo stato uno dei più grandi visionari europei in campo architettonico e urbanistico, molti pochi lo conoscono, se non gli addetti ai lavori. Anche se le sue opere sono esposte al Moma di New York. Anche se non può essere pubblicata una storia dell'architettura senza ospitare almeno uno dei suoi progetti utopici.


Mario Chiattone in un dipintuni

Eppure, quando ci sono le grandi rassegne dedicate al movimento, e le sue opere compaiono vicino a quelle di Sant'Elia, quando la città del futuro lanciano il loro urlo, i visitatori rimangono muti ad ammirare le visioni di ciò che è avvenuto e che sta avvenendo nelle nostre città.
Torri, grattacieli, ascensori esterni, enormi prese d'aria.

Un'occhio che ha saputo leggere la conquista tecnologica, che preannuncia i disastri dell'architettura anni '70, gli incubi dell'architettura realista sovietica, ma anche le intuizioni dell'urbanistica degli anni '2000.
Alla morte dell'amico nel 1922 Chiattone si trasferisce in Svizzera, dove abbandona il linguaggio della ricerca e sprofonda lentamente nel sonno della cultura borghese e in un'attività di routine per la ricca classe locale che rende irriconoscibile il suo essere stato "al di là del proprio tempo" divenendo espressione di un tiepido "ritorno all'ordine" e della stessa neutralità della nazione che lo ospita e che diventerà la sua casa.
Per questo, al di là delle tante parole, ci piace ricordarlo - e forse presentarlo a molti - solo con i suoi progetti. Incredibili.

costruzioni per una metropoli moderna, 1914